Home > Blog > L’analisi del nostro presidente sulle ambiguità del Terzo Settore

Ecco una breve riflessione del nostro presidente Giancarlo Rafele sul tema dell’inclusione sociale, delle ambiguità del Terzo settore. E sull’organizzazione di eventi isolati come da ultimo la proiezione del film della rassegna “Schermi-Cinema Multipiazza” che si è svolta nei giorni scorsi nel quartiere di periferia Aranceto a Catanzaro.

Il nuovo sistema di welfare, quello che dobbiamo iniziare a costruire in città, dovrà essere co-programmato e co-progettato da attori pubblici e privati e dovrà essere necessariamente legato al territorio, alla comunità. Una comunità informata, consapevole e responsabile che diventa capace di mettere in rete le proprie responsabilità e competenze nel realizzare gli obiettivi di benessere comune. Ma per farlo è necessario un cambio di paradigma culturale che consenta di rimettere al centro le persone e non le organizzazioni del terzo settore, le relazioni e non i servizi.

È importante lavorare in un’ottica di comunità per contrastare le ambiguità del Terzo Settore

Non esiste una formula predefinita per seguire un approccio di questo genere, ma piuttosto richiede un’attenta considerazione delle persone e delle comunità coinvolte, tenendo conto della loro complessità. Continua il nostro presidente

È necessario possedere competenze e capacità nel facilitare i processi partecipativi, nella costruzione e nel mantenimento delle relazioni e della fiducia, nell’accompagnare le persone anziché sostituirsi a loro, nella comunicazione e nella narrazione. È necessario scommettere sul potere delle reti informali. I contesti abitativi sono fattori di benessere o malessere, agio o disagio, cura o malattia. Condizionano, cioè, le biografie delle persone, le loro chance di vita, le loro possibilità di proiettarsi o meno nel futuro. Questa lettura fa capire l’importanza di investire in politiche locali capaci di infrastrutturare di opportunità i territori.

E per infrastrutturazione intendo quella sociale e non quella relativa alle opere pubbliche. A poco servono i Centri sociali o altre strutture se non si prevedono sistemi di engagement, governance e sostenibilità. Se non si attuano, insomma, quelli che ormai vengono definiti progetti di sviluppo di comunità. Per avviare questo tipo di interventi in questo periodo storico le risorse sono l’unica cosa che non mancano. Un progetto di comunità sull’Aranceto costerebbe da poche centinaio di migliaia di euro a qualche milione. Dipende dalla complessità del progetto che si vuole costruire e della sua sostenibilità nel tempo.

Il Terzo Settore catanzarese è pronto per un cambio così radicale del sistema Welfare?

Decisamente no, quantomeno non nella sua interezza. Il problema riguarda la categorizzazione del terzo settore, che raggruppa una vasta gamma di organizzazioni unite, nel migliore dei casi, solo da un’idea di responsabilità sociale. In questa mescolanza, attività di grande utilità sociale si trovano accanto ad altre che hanno poco a che fare con l’interesse generale. Le amministrazioni pubbliche si sono liberate delle responsabilità nella gestione di alcuni servizi, delegandoli a organizzazioni del privato sociale che offrono manodopera a basso costo in un’ottica di contoterzismo. Alcune organizzazioni hanno approfittato di questa situazione per drenare risorse pubbliche senza apportare alcun impatto sociale significativo. Che si tratti di attività straordinarie, inutili, positive o meritorie per l’interesse generale, è necessario dimostrarlo empiricamente e non si può darlo per scontato solo perché un’organizzazione è senza scopo di lucro.

Sottolinea Giancarlo Rafele

Diamoci un senso, questo voglio dire. Il rischio è che con queste ambiguità non si riesca a distinguere tra il Terzo Settore che promuove pratiche emancipatorie e quello che serve solo a sé stesso. Molte organizzazioni del Terzo Settore fungono da bacini elettorali e riserve di subalternità politica e culturale. Credo che sia giunto il momento di guardare la realtà con maggiore serietà, di eliminare le ambiguità, di chiamare le cose con il loro nome e di revocare i privilegi a coloro che non ne hanno diritto. Credo che sia arrivato il momento di rompere un silenzio colpevole per evitare che tale silenzio perpetui ambiguità e contraddizioni. Ci sono molte organizzazioni del Terzo Settore che contribuiscono a creare una corrente positiva di significato sociale, di cui altri si avvantaggiano. Questa sensazione spiacevole la provano ogni giorno quanti si impegnano quotidianamente per rendere questa città migliore.

È triste vedere come oggi alcune sedicenti organizzazioni stiano cercando di sminuire il lavoro del Terzo Settore e rendere vano il suo sacrificio. Abbiamo bisogno di organizzazioni che credano in un cambio di paradigma culturale, che mettano al centro la persona e le relazioni. Sembra proprio che il futuro voglia metterci a dura, durissima prova. Resta la sensazione che dobbiamo avere davvero molto forza e pazienza per “rendere migliore la nostra città e la regione”.